Salario accessorio: passo avanti, ma servono correttivi per evitare ulteriori diseguaglianze tra enti territoriali

Close-up of economist using calculator while going through bills and taxes in the office.

Lo sblocco del salario accessorio per i dipendenti degli enti locali rappresenta un cambiamento importante. Un’evoluzione che va nella direzione di valorizzare il lavoro pubblico locale e rendere maggiormente competitivo un settore strategico per il buon funzionamento dello Stato, evitando una vera e propria “fuga” di funzionari e tecnici che negli anni si è venuta a creare tra Comuni verso le amministrazioni centrali, meglio retribuite.

Come ALI Autonomie Locali Italiane condividiamo lo sviluppo positivo dell’emendamento al decreto legge PA, che supera il tetto al trattamento accessorio in vigore dal 2017, ma è necessario sottolineare come l’esclusiva modifica normativa, senza un’aggiunta di nuovi fondi creerà disfunzioni importanti.

Perché la norma, pur dando un segnale importante, rischia di avere un effetto boomerang se non accompagnata da adeguati strumenti di riequilibrio. Il principale punto critico riguarda il fatto che le risorse per finanziare gli aumenti non saranno stanziate dallo Stato, ma dovranno essere reperite autonomamente dai singoli enti.​

Il rischio della sperequazione territoriale
Secondo le stime della Fp Cgil, circa 3.000 Comuni – il 38% del totale – potrebbero restare esclusi dalla possibilità di erogare gli aumenti per ragioni di bilancio. In prima linea ci sono i Comuni in dissesto o in riequilibrio finanziario, che secondo l’ultimo censimento del Ministero dell’Interno sono oltre 490, concentrati in gran parte nel Mezzogiorno. Ma anche molte realtà di piccole dimensioni, pur non essendo in condizioni di emergenza finanziaria, avranno oggettive difficoltà a sostenere un incremento strutturale della spesa per il personale.
Il rischio è evidente: i Comuni più solidi e strutturati, già oggi in grado di investire su personale, innovazione e servizi, potranno rafforzarsi ulteriormente, mentre quelli più fragili rischiano di perdere ulteriormente competitività amministrativa. Con il paradosso di un provvedimento pensato per sanare diseguaglianze che potrebbe finire per accentuarle.


Un aumento che pesa anche sulla capacità assunzionale
C’è poi un secondo aspetto critico: l’impatto sull’equilibrio della spesa del personale. L’aumento del salario accessorio, in assenza di fondi aggiuntivi, potrebbe comprimere ulteriormente la capacità assunzionale degli enti, già messa a dura prova da anni di limiti e vincoli. In altre parole, senza correttivi, si rischia di dover scegliere tra aumenti in busta paga e nuove assunzioni, a scapito del necessario ricambio generazionale.


Il nodo dei dirigenti: un’area ancora scoperta
Un ulteriore elemento di criticità riguarda i dirigenti degli enti locali. Mentre il decreto PA prevede aumenti per il personale non dirigente, la situazione dei dirigenti rimane incerta. Secondo quanto riportato dal Corriere della Sera, i dirigenti chiedono di accorpare i rinnovi contrattuali, lamentando perdite fino a 600 euro al mese a causa del blocco vigente. La mancanza di interventi specifici per questa categoria rischia di creare ulteriori disparità all’interno della stessa amministrazione locale.


Un’occasione da non sprecare
Lo sblocco del salario accessorio è un’opportunità importante per ridare centralità al ruolo degli enti locali nella pubblica amministrazione. Ma perché sia davvero un volano di rilancio e non l’ennesima occasione perduta, è necessario che lo Stato accompagni questo processo con strumenti di equità e coesione. Non possiamo permettere che la valorizzazione del personale diventi un privilegio riservato a pochi Comuni virtuosi, mentre gli altri restano indietro. La riforma va nella direzione giusta, ma per non trasformarla in una corsa a ostacoli occorre correggere la rotta ora, non domani.