Contro lo spopolamento, più rappresentanza. Il DDL 1452 e la necessità di rafforzare le autonomie

È all’esame del Senato il disegno di legge n. 1452, presentato dai senatori Malan, Romeo, Gasparri e Biancofiore, che introduce modifiche all’articolo 14 del decreto-legge n. 138 del 2011, relativo al numero massimo di consiglieri e assessori regionali. Un provvedimento tecnico, ma che porta con sé un messaggio politico chiaro: nelle Regioni più fragili e colpite dallo spopolamento, servono istituzioni più forti, non più deboli.

Il disegno di legge introduce due modifiche principali. La prima riguarda la soglia demografica utilizzata per determinare il numero di consiglieri: con la nuova norma, se la popolazione di una Regione varia entro un margine del 5% rispetto alle soglie previste, il numero dei consiglieri resta invariato. La seconda consente alle Regioni con popolazione fino a un milione e fino a due milioni di abitanti di incrementare di due unità il numero massimo degli assessori, pur mantenendo il rapporto proporzionale rispetto al numero di consiglieri.

Queste modifiche rispondono a una criticità emersa negli ultimi anni: le soglie fissate rigidamente nel 2011 – in un clima segnato dalla crisi finanziaria e dalla necessità di ridurre la spesa pubblica – non tengono conto dei mutamenti demografici intervenuti nel frattempo, soprattutto in quelle Regioni che vivono una forte contrazione della popolazione, in particolare nelle aree interne e montane.

Come ha ricordato in audizione il costituzionalista Giacomo D’Amico, la compressione del numero dei consiglieri fino a soglie minime (20-21 consiglieri nelle Regioni più piccole) ha portato a un duplice problema: l’impossibilità, nei fatti, di far funzionare in modo adeguato le commissioni consiliari e una concentrazione eccessiva del potere legislativo in poche mani. Questo riduce la qualità della rappresentanza e indebolisce l’azione politica in un momento in cui le Regioni dovrebbero essere in prima linea nel contrasto alle diseguaglianze territoriali.

Il DDL 1452, senza stravolgere l’impianto normativo esistente, propone una “correzione ragionevole” che mira a rafforzare la capacità delle Regioni di agire, mantenendo un adeguato presidio democratico. Come ha sottolineato lo stesso D’Amico, si tratta di un passo nella giusta direzione, anche se forse sarebbe auspicabile andare oltre, prevedendo un numero minimo di 30 consiglieri anche per le Regioni con meno di un milione di abitanti.

La seconda modifica, che riguarda l’ampliamento delle Giunte regionali, risponde a un’esigenza operativa concreta. Anche in Regioni con popolazione contenuta, le competenze attribuite – dalla sanità alla protezione civile, dai trasporti all’ambiente – richiedono una struttura esecutiva all’altezza, capace di articolarsi e distribuire il carico di lavoro. L’incremento di due assessori può rappresentare, in questo senso, un contributo importante alla funzionalità dell’amministrazione regionale.

Non secondaria è poi la previsione che ogni Regione dovrà coprire questi adeguamenti con i propri bilanci, senza nuovi oneri per la finanza pubblica nazionale. È un punto di equilibrio importante, che responsabilizza le Regioni ma ne riconosce anche l’autonomia e la specificità.

Tuttavia, accanto alla valutazione positiva delle finalità del provvedimento, è lecito aprire una riflessione più ampia. Il rafforzamento della rappresentanza regionale nei territori più deboli e spopolati è un segnale importante, ma non può restare isolato. Le stesse dinamiche di contrazione demografica e compressione della rappresentanza interessano da tempo anche altri livelli istituzionali, in particolare le province e i comuni.

Le riforme dell’ultimo decennio – dalla cosiddetta “Delrio” al taglio dei parlamentari – hanno prodotto un effetto di progressiva rarefazione della rappresentanza territoriale, soprattutto nei centri medi e piccoli. La riduzione del numero di consiglieri comunali, l’abolizione dell’elezione diretta dei presidenti di provincia, la fusione forzata di funzioni e competenze: tutte misure che, seppur giustificate dal principio della razionalizzazione, rischiano oggi di rivelarsi miopi di fronte alla crisi dei territori.

Oggi la maggioranza si muove con coerenza nel rafforzare le Regioni più piccole, pur a costo di un aumento delle spese. Ma è necessario che anche gli altri livelli di governo – province e comuni – non vengano lasciati soli a gestire il contraccolpo dello spopolamento e della riduzione delle risorse umane e istituzionali. Altrimenti, l’Italia rischia di diventare un Paese a rappresentanza differenziata, dove alcuni territori vengono dotati di strumenti per reagire, mentre altri vengono lasciati a se stessi.