Il Pnrr non va rivisto ma attuato, lavoriamo per superare gli ostacoli e correre

E’ passato poco più di un anno dalla consegna ufficiale alla Commissione europea del Piano nazionale per la ripresa e resilienza (PNRR). In un anno, lo scenario di riferimento è radicalmente cambiato. Nell’aprile 2021 l’economia italiana era in pieno recupero, avviata ad una crescita record. Oggi, purtroppo, l’effetto congiunto del caro materie prime, dei colli di bottiglia nelle catene del valore e della guerra in Ucraina ha prodotto un vistoso peggioramento della congiuntura. Se a settembre dell’anno scorso si immaginava che il PIL sarebbe cresciuto del 4,7 per cento nel 2022, ad aprile il DEF ha tagliato questa stima al 3,1 per cento e a maggio la Commissione UE l’ha ulteriormente abbassata al 2,4 per cento. Tenendo conto del 2,1 per cento di effetto di trascinamento del 2021, di fatto ci siamo fermati e rischiamo la terza recessione in dieci anni. Il governo sta facendo oggettivamente molto per aiutare famiglie, imprese e enti territoriali. Una serie di provvedimenti hanno messo sul tavolo oltre 30 miliardi, 17 dei quali stanziati dal decreto “aiuti” che inizia in questi giorni il suo percorso alla Camera dei deputati.

Di fronte a questa brusca frenata, il PNRR è diventato una vera e propria àncora di salvezza. Nel 2021 l’Italia ha rispettato tutti e 51 gli obiettivi previsti, ottenendo i finanziamenti previsti. Il 2022 è un anno particolarmente sfidante: 45 obiettivi per il primo semestre, collegati ad una rata da 24,13 miliardi, e 55 nel secondo semestre, dai quali dipende un’ulteriore finanziamento da 21,83 miliardi.

Sulla testa del Piano pendono alcune pericolose spade di Damocle. La capacità amministrativa degli enti territoriali è una delle più preoccupanti. Comuni, enti di area vasta e regioni sono arrivati all’appuntamento con il PNRR indeboliti da anni di tagli finanziari e di blocco del turnover. Il governo sta correndo ai ripari e in questi mesi ha varato una serie di provvedimenti per aumentare le capacità assunzionali degli enti, per accelerare le procedure concorsuali, per stimolare l’adozione di piani di formazione del personale, per costruire una struttura di assistenza tecnica a supporto dei comuni più piccoli. La direzione è sicuramente giusta, l’implementazione di queste misure è però a geometria variabile. Bisogna correre, perché i bandi stanno uscendo e dagli enti territoriali dipende la realizzazione di circa il 37 per cento degli investimenti previsti dal Piano, con punte ancora più alte nelle missioni 5 (inclusione e coesione) e 6 (salute). Alcune province e città metropolitane hanno deciso di costituire autonomamente task force territoriali a supporto dei piccoli comuni, particolarmente in difficoltà rispetto agli adempimenti richiesti dal Piano. E’ una scelta intelligente, che andrebbe resa sistematica e supportata dallo Stato.

Più in generale, il successo del Piano dipende in misura decisiva dalla capacità dell’intero sistema-Paese di fare un salto in avanti nella propria capacità realizzativa degli investimenti e delle riforme del PNRR.

Per quanto riguarda gli investimenti, il tema è duplice. Da una parte, la semplificazione delle procedure. Il Governo ha fatto tanto: le modifiche già adottate e quelle del disegno di legge delega di riforma dei contratti pubblici potranno ridurre in misura significativa i tempi (mediamente biblici) di realizzazione delle opere pubbliche. Dall’altra, abbiamo un problema rilevante sul lato dell’offerta imprenditoriale. Il caro materiali sta paralizzando l’intero sistema delle opere pubbliche: molte gare vanno deserte e in qualche caso si registrano anche abbandoni di cantieri già aperti. Se l’articolo 29 del DL 4/2022 “Sostegni-ter” ha previsto l’obbligo di inserire le clausole di revisione dei prezzi nei documenti di gara, l’articolo 26 del DL 50/2022 “Aiuti” ha previsto un aggiornamento straordinario dei prezzari e ha stanziato 3 miliardi per il 2022, 2,75 miliardi per il 2023, 1,5 miliardi annui per il 2024 e 2025 e 1,3 miliardi per il 2026 per coprire almeno una parte dei rincari. Sono risorse importanti (in totale 10,05 miliardi per gli anni 2022-2026) ma non è detto che bastino. Serviranno con tutta probabilità ulteriori stanziamenti e/o il sacrificio di qualche investimento per recuperare le risorse necessarie per affrontare l’enorme aumento dei costi di realizzazione delle opere stesse. Un ulteriore problema – per non farsi mancare nulla! – riguarda il sistema delle imprese dell’edilizia. Le grandi realtà sono state falcidiate dalla crisi decennale del settore. Le altre spesso e volentieri preferiscono dedicarsi agli interventi privati incentivati con i vari eco e super bonus, piuttosto che partecipare a gare per opere pubbliche che offrono ritorni insufficienti e tempi di pagamento aleatori. Questo effetto spiazzamento, sommato al caro materiali, rischia di determinare un forte rallentamento nell’iter di attuazione del PNRR.

Di fronte a queste difficoltà, sta emergendo nel dibattito pubblico la richiesta di rivedere sia tempi di attuazione di Next Generation EU (allineandoli alla programmazione ordinaria del bilancio UE: 2021-2027) che i contenuti del Piano, tenendo conto del cambio di scenario.

Sono due istanze assolutamente legittime ma ad oggi con scarse possibilità di accoglimento. Una diversa tempistica del programma avrebbe bisogno di essere approvata da tutti e 27 gli Stati membri della UE. Quanto ai progetti del Piano, i regolamenti prevedono la possibilità di revisioni, ma l’iter è complesso e dall’esito incerto. L’articolo 21 del regolamento europeo prevede per ciascun paese membro la possibilità di presentare all’Ue una modifica del proprio piano, o addirittura un nuovo piano, se il piano «non può più essere realizzato, in tutto o in parte» a causa di «circostanze oggettive», avanzando una “richiesta motivata” alla Commissione che può essere accolta ma anche respinta. Il percorso, insomma, è a ostacoli e pensare di buttare la palla in avanti o riscrivere da cima a fondo il Piano è una pericolosa illusione. Molto meglio focalizzarsi sul Piano che c’è, lavorare per superare gli ostacoli alla sua attuazione e correre. Abbiamo sempre definito Next Generation EU una grande opportunità per l’Italia. Non dimentichiamoci che rappresenta anche una grande responsabilità. Nei confronti delle generazioni future e dell’intera Europa.

*di Antonio Misiani, Commissione Bilancio del Senato