Apertura del Festival delle Città: precarietà sociale, migrazioni e l’obiettivo della pace. Le riflessioni di Lucciarini, Ricci e Riccardi

Il Festival delle Città 2023, intitolato “Sortirne insieme”, dedicato al centenario di Don Lorenzo Milani, nella splendida cornice del Pio Sodalizio dei Piceni a Roma si è aperto con i saluti del segretario generale ALI, Valerio Lucciarini De Vincenzi, seguiti dagli interventi di Matteo Ricci, Presidente nazionale di ALI  e Sindaco di Pesaro, e di Andrea Riccardi, fondatore della comunità di Sant’Egidio.

Ad accogliere i presenti, il Segretario Generale Valerio Lucciarini De Vincenzi che ha dato il benvenuto a relatori, ospiti e amministratori intervenuti alla quinta edizione del Festival, e ha introdotto la Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa «con la quale abbiamo promosso un corso di alta formazione politica amministrativa, “A scuola di città”, con quasi 70 tra amministratori, funzionari e dirigenti di comuni che in queste ore hanno sviluppato un percorso formativo di cui siamo particolarmente orgogliosi e legati».

La quinta edizione del Festival, spiega Lucciarini, «con più di 30 panel e oltre 200 amministratori iscritti in questa tre giorni, oltre 140 relatori, e l’ambizione di sortirne insieme, attraverso un sostegno al prezioso lavoro e alle tante problematiche che sindaci, amministratori locali, consiglieri comunali, assessori devono affrontare ogni giorno, per provare a sortirne insieme perché così si fa la buona politica».

L’intervento del presidente Matteo Ricci ha toccato i concetti fondamentali al centro del Festival, soffermandosi con lucidità su questioni sociali e morali di estrema importanza: «Siamo partiti da Don Milani nell’organizzare questa edizione del Festival non solo perché quest’anno è il centenario della nascita, ma perché molti suoi scritti, molte sue riflessioni e battaglie sono di grande attualità. Il senso della politica è quello di provare a sortirne insieme, aiutando chi non ce la fa e cercando di battersi quotidianamente contro le disuguaglianze. In questo caso sortirne insieme ha anche un effetto istituzionale e quindi è anche un messaggio che vogliamo lanciare a Governo e Parlamento: non continuate a scaricare i vostri problemi e le vostre contraddizioni sui comuni e sui sindaci, come spesso accade. Ed è anche un messaggio per un’idea di Europa, quello di Don Milani, perché nel mondo che cambia, nel cambiamento demografico del pianeta, nella transizione ecologica, nella guerra, se l’Europa non riuscirà attraverso le prossime elezioni europee a fare un passo verso un’Europa federale ma rimarrà sempre più un’Europa intergovernativa non ce la faremo a sortirne insieme. Semplicemente non ce la faremo. L’idea che ogni paese possa chiudersi su se stesso pensando egoisticamente di potercela fare da solo è irrealistica, è una politica antistorica ed è purtroppo uno dei temi che si affronteranno nelle prossime elezioni europee. Quindi quello di Don Milani è un pensiero antico ma che si rinnova e che vogliamo in qualche modo caratterizzi tutto il festival delle città. È anche una speranza sortirne insieme, un modo per tenere accesa la fiammella della speranza».

Andrea Riccardi ha iniziato il suo intervento proprio dalla frase di Don Milani che ha dato il titolo al Festival delle Città 2023, «quando Matteo mi ha invitato sono andato a rileggermi il libro di Don Milani, che conservo gelosamente e che mi ha tanto ispirato quando avevo 18 anni. La chiave è proprio nell’ ‘insieme’. Abbiamo vissuto una mutazione culturale profonda, anche drammatica. C’è stato un passaggio dalla società del Noi al mondo dell’Io. Abbiamo vissuto una mutazione culturale profonda, drammatica, il passaggio dalle società “del Noi” qual era la vecchia Italia fatta dai partiti, dalle comunità locali, dalle famiglie, dalle chiese, dalle associazioni, questo tessuto vastissimo che poi nel ‘68 si era ancor più moltiplicato con uno spontaneismo discutibile ma interessante, fino al progressivo sfilacciamento, per approdare alla società “dell’Io”. Il Noi è oggi innaturale e quasi forzato, questo mondo dell’Io prevalente è la realtà della nostra società che va dall’esaltazione dell’Io vincente, competitivo, alla miseria dell’Io, alla tristezza dell’Io, al problema della solitudine. Scrive uno studioso importante della nostra società italiana che la realtà dell’italiano oggi è la solitudine. E Zoia uno psichiatra che stimo molto ha detto che siamo nel tempo della morte del prossimo. Questo è molto importante perché spiega anche perché il Comune sia la realtà istituzione di prossimità, l’unico “qualcosa” a cui l’Io può avere un approdo. L’altra realtà il sentimento populista, la massa degli Io che si identificano con un IO scritto con le lettere maiuscole che mi comprende, mi consola, mi protegge, ma anche mi abbandona nella mia solitudine. Io penso che non si può fare politica, che è l’Insieme, e non si può governare dunque senza tenere conto della realtà di questa nostra società, di questi milioni e milioni di “Io”».

La discussione torna su temi di stretta attualità, e un buon sindaco secondo Ricci «deve avere due caratteristiche di base: deve piacergli stare in mezzo alla gente e non deve aver paura di decidere; deve saper prima ascoltare e poi decidere. Credo che la parte migliore del Paese spesso è negli enti locali, perché hanno la capacità di tenere insieme l’elemento valoriale e quello pragmatico.

Noi sindaci vogliamo essere protagonisti e incidere nell’agenda del Paese, ecco anche perché cinque anni fa abbiamo aperto il Festival delle Città, che è sempre un momento di confronto. Ma negli ultimi anni abbiamo faticato a trovare spazio sul piano della politica nazionale, sebbene si emerso con chiarezza un dato di fatto: abbiamo spesso avuto su tante questioni la posizione del governo e la posizione dei sindaci, come se i sindaci fossero diventati la verifica quotidiana o il contraltare quotidiano dell’azione di governo. Questo significa che l’alternativa si può costruire guardando alle politiche sui territori, dove è possibile toccare con mano gli effetti della politica centrale.  

Mi hanno chiesto come interverrei nella Legge di Bilancio: ripristinando il fondo per gli affitti. Tante famiglie in difficoltà sono ai servizi sociali nei Comuni. Poi, un altro aspetto importante riguarda il servizio sanitario: c’è un taglio graduale spalmato nei prossimi tre anni e ci saranno difficoltà future in tutte le regioni, anche in quelle più virtuose. Basta stare in mezzo alla gente per rendersi conto di come stanno le cose. E c’è preoccupazione anche per il lavoro per le aziende manifatturiere, che si ripercuoterà in ambito sociale».

Sul tema dei migranti Ricci parte da Lampedusa, dove è stato «per il decennale della strage ed è stata una vergogna che non ci sia stata una delegazione parlamentare, nessun esponente del Governo. Come fa l’Italia a non essere presente a una cerimonia del genere? C’erano sindaci e tanti volontari.

Sulle migrazioni, ho avuto i miei nonni che sono emigrati in Belgio nel ’49 a lavorare nelle miniere. La molla che ti fa partire è sempre la speranza di una vita migliore. La grande differenza con le migrazioni di allora sta negli ingressi legali o illegali: se aumentassimo i flussi regolari noi daremmo un colpo mortale ai trafficanti di esseri umani. Occorre legare una politica demografica di un certo livello a una politica che tenga conto di questi flussi migratori. È anche una questione di integrazione e sicurezza urbana: con i flussi irregolari si fagocita la microcriminalità. Noi proponiamo l’accoglienza diffusa, per avere maggiore integrazione e minore paura. Non serve nulla a fare la guerra alle ONG».

E sulla guerra in Ucraina: «Dopo un anno e mezzo come pensiamo debba finire la guerra in Ucraina? Tutte le guerre dalla seconda guerra mondiale in poi sono finite con un accordo di pace: quando sento che dobbiamo sostenere l’Ucraina con le armi fino a che non vincerà la guerra, questo mi spaventa. Così si rischia un prolungamento infinito e un’escalation insensata che danneggerà tutti. Bisogna riapre la discussione su questo punto, non da che parte stare, perché abbiamo fin dall’inizio sostenuto moralmente l’Ucraina. Ma chi deve farla finire questa guerra? Dove siamo? L’Europa dov’è? Qual è la sua politica internazionale? Quale il suo ruolo geopolitico?».

Andrea Riccardi ha parlato anche della difficile condizione sociale in cui versano sempre più persone: «Vedo la fame tra la gente. Le persone non sanno più a chi rivolgersi. E sono sole. In Italia si può ancora realizzare una dimensione umana, ripristinare una degna rete solidale. Durante il Covid sono aumentati i contatti tra operatori solidali, ma occorre formare una rete. Siamo un Paese che affoga nella paura, nel bisogno e nell’anonimato. Bisogna che gli amministratori tornino a comunicare con la gente. La vita deve ritornare a parole tra le persone».

Sulle migrazioni, Riccardi ha detto: «Quello delle migrazioni dall’Africa è un fenomeno molto complesso e c’è molta retorica fasulla sugli africani che migrano. Qui si pesca nel profondo, nella paura del nero, c’è anche una certa colpa della sinistra, che spingeva a non parlare dei migranti. Non è stata elaborata una visione di un’Italia che deve crescere con gli altri.

Stiamo seminando il cammino dei migranti di continui ostacoli, oggi si pensa che il migrante deve essere punito perché non emigra per trovare rifugio politico ma per star meglio per motivi economici. Abbiamo tolto loro tutto, dagli assistenti sociali ai supporti psicologici. Oggi manca il coraggio di integrare. Queste persone sono nel nostro Paese e quando parliamo di accoglienza in maniera positiva non lo facciamo come individui con una visione umanitaria. Tra quindici anni sarà troppo tardi per integrare; questa è cecità politica, dovrebbe essere un fatto primario e di visione del nostro percorso politico. Quello della pace è un tema molto grande. La gente comune non vuole la guerra. La guerra in Ucraina ad esempio la stanno pagando in primis i cittadini ucraini: ogni giorno di guerra in più costituisce un passo in più verso un futuro nefasto per quel popolo».

*di Valentina Guiducci e Stefano Colagiovanni