Porre fine alla violenza sulle donne

News - ROMA: The second day of the event “Festival delle citta”

La violenza sulle donne è una delle piaghe più gravi della società in cui viviamo, una piaga che pare non avere fine, ma che una fine deve averla se vogliamo ancora parlare di civiltà e di democrazia. La cosa che stupisce e lascia increduli, oltre al numero elevato delle vittime, è leggere le motivazioni che hanno spinto quegli uomini a uccidere le donne, mogli, compagne, amiche, ex fidanzate: voleva lasciarlo, voleva uscire la sera con le amiche, sentiva il suo ex su facebook, non voleva tornare con lui, non voleva partire con lui. In poche tristi parole queste donne non facevano quello che volevano gli uomini che avevano accanto: se ne andavano, non tornavano, li lasciavano, parlavano con altri.

Spesso c’è qualcosa di patologico e di malato in una mente che passa dalla pulsione al crimine senza gestire l’emozione (la rabbia). Ma c’è sempre una società che ha fallito nel crescere questi uomini.

Occorre lavorare insieme, la violenza si può combattere solo insieme: famiglie, scuole, associazioni e istituzioni unite. Un tema sul quale anche la politica deve trovare unità, come si è fatto in questi giorni in Parlamento per la legge sul contrasto alla violenza sulle donne, nonostante siano ben evidenti le differenze culturali nel dibattito sulla cultura patriarcale.

Ma il lavoro più grande che dobbiamo fare, insieme, è quello nei confronti degli uomini di domani. Ho grande fiducia in loro, ma se vogliamo veramente che il problema del femminicidio veda una fase calante, occorre cambiare radicalmente la “cultura dei maschi”. 

Serve una pedagogia rivoluzionaria, fin dai primi mesi di vita, all’asilo poi a scuola ma prima ancora in famiglia: una nuova educazione che sia capace di modificare l’assegnazione arcaica dei ruoli nelle coscienze. Perché non si uccide per un raptus, non è mai un raptus. Il raptus non esiste, come ha detto recentemente Umberto Galimberti “è un prodotto di fanta-psicologia”. La follia non c’entra. È piuttosto una convinzione profonda, arcaica, un’idea primitiva del possesso della donna, una cosa che appartiene a un uomo.

Gli uomini picchiano e uccidono le donne perché non fanno quello che vogliono loro, perché li lasciano, non assecondano i loro desideri, perché si scambiano un messaggio con altri uomini, perché escono di casa quando gli è stato detto di non farlo. Perché fanno quello che fanno gli uomini ma loro non possono.

E poi un’altra cosa, evidente. L’omicida di Giulia Tramontano dopo averla uccisa disse “ora sono libero”. Qui c’è anche una chiara assenza del timore delle conseguenze e della legge.

Quando le donne possono parlare ci dicono che hanno la percezione che denunciare non serva a metterle al sicuro, che hanno paura arrivi prima l’assassino delle istituzioni, temono vendetta.

Nella drammaticità di questi giorni non dobbiamo dimenticare però che se oggi le piazze italiane si sono riempite è grazie alle battaglie fatte. I numeri che leggiamo oggi non dobbiamo viverli come un fallimento, perché probabilmente senza quell’impegno sarebbero stati maggiori e il fenomeno sarebbe rimasto ancora sottotraccia, nascosto, soffocato. Dobbiamo innanzitutto ringraziare tutti coloro che in questi anni hanno lavorato con grande impegno a questa lotta.

Lo Stato da parte sua non può limitarsi a campagne di comunicazione sull’importanza della denuncia di violenze, numeri verdi dedicati, centri antiviolenza. Occorrono leggi nuove perché è evidente che le cose così non funzionano, le forze dell’ordine vanno aiutate, agevolate, i tempi di intervento abbattuti. Il Parlamento deve scrivere, unito, la migliore delle legge possibili per tutelare le donne a rischio e prevenire drammi.

Poi, fondamentale, occorre fare delle scuole i primi centri antiviolenza: serve unna pedagogia rivoluzionaria fin dai primi mesi di vita, all’asilo poi a scuola. Perché decidiamo cosa vogliamo essere nei primi anni di vita. Ed è lì che c’è un grande e nuovo lavoro da fare. Tutti insieme, su più fronti, uniti e con determinazione.

“Per tutte le violenze consumate su di Lei, per tutte le umiliazioni che ha subito, per il suo corpo che avete sfruttato, per la sua intelligenza che avete calpestato, per l’ignoranza in cui l’avete lasciata, per la libertà che le avete negato, per la bocca che le avete tappato, per le ali che le avete tagliato, per tutto questo: in piedi Signori, davanti a una Donna” (William Shakespeare)