Lo smartworking verso le aree interne

Nel mese di settembre 2021, secondo i risultati della ricerca dell’Osservatorio Smart Working della School of Management del Politecnico di Milano, erano complessivamente 1,77 milioni i lavoratori agili nelle grandi imprese, 630mila nelle PMI, 810mila nelle microimprese e 860mila nella PA. Progetti di smart working strutturati o in via di definizione sono presenti nell’81% delle grandi imprese (contro il 65% del 2019), nel 53% delle PMI (nel 2019 erano il 30%) e nel 67% delle PA (contro il 23% pre-Covid).

Stando alle previsioni, nel prossimo futuro lo smart working rimarrà o sarà introdotto nell’89% delle grandi aziende, nel 62% delle PA, e nel 35% delle PMI, alla ricerca di un miglior equilibrio fra lavoro in sede e a distanza.

Dati confermati anche dallo studio diffuso dalla Svimez e dall’Associazione di promozione sociale South Working che, per lo specifico del Meridione, ha registrato nel 2020 circa 45mila i lavoratori in Smart working in Italia (100mila contando anche quelli delle piccole aziende, più difficili da rilevare), soprattutto dalle regioni del Sud Italia per le grandi imprese del Centro Nord.

Dati parzialmente consolidati per l’intero territorio nazionale, ma certamente già emblematici, soprattutto per il lavoro da remoto dal Sud verso il Nord Italia e soprattutto per quello attivato da tutte le aree interne del Paese, dove il fenomeno del lavoro a distanza è ancora difficile da quantificare, ma che sta diventando sempre più strutturato in questi ultimi anni.

La pandemia sta dunque cambiando radicalmente il modo di concepire il lavoro. E la stessa crisi economica che sta colpendo diversi settori produttivi, allo stesso modo, potrebbe offrire nuove opportunità lavorative per le aree più marginali, le aree interne del Paese.

Nuovi scenari economici e sociali che aprono ad un nuovo modello di sviluppo, capace di trasformare in opportunità di crescita i problemi generati dal Covid, con lo smart working dalle aree interne che può rappresentare una delle leve per ripensare complessivamente i rapporti del mondo del lavoro. Garantendo una migliore qualità del benessere del lavoratore cittadino e al tempo stesso di riorganizzazione aziendale, ma ancora di più di ripopolamento e di nuovi servizi per assicurare i diritti di cittadinanza nei luoghi periferici, favorendo coesione sociale, territoriale ed economica e riducendo le attuali, crescenti disuguaglianze.

Va in questa direzione la proposta di legge che mi accingo a presentare in Molise, ma che ha un respiro nazionale, offrendo all’intero Paese una concreta possibilità di rigenerazione territoriale urbana e rurale, non solo per i centri urbani più grandi, ma in modo particolare per i nostri borghi, dove è possibile immaginare e realizzare la riconversione degli edifici per accogliere lavoratori in smartworking. E in questo contesto, decisivo sarà il ruolo dei Sindaci e delle Amministrazioni comunali per la messa a disposizione di spazi comuni altamente interconnessi, veri e propri Hub concepiti per il lavoro a distanza, come si sta già sperimentando, con risultati soddisfacenti, in alcune regioni.

In tal senso, lodevole è il lavoro che sta caratterizzando il ruolo di Leganet e dell’accordo con Tiscali per la copertura a banda larga delle cosiddette aree bianche. Perché una connessione stabile e veloce rappresenta il primo, indispensabile requisito per operare in smartworking.

E proprio lo spirito di collaborazione e la condivisione di questi obiettivi comuni sono alla base di questa proposta di legge, che nasce grazie al lavoro con più soggetti pubblici, istituzionali e privati fortemente interessarti al tema, dal Centro ArIA dell’Università del Molise, alle organizzazioni sindacali e datoriali nazionali, fino alle associazioni, come South Working, che, partendo dallo smartworking, intendono contribuire a sviluppare un nuovo modello di lavoro da remoto, ponendo al centro le persone e i territori.

Infatti, a partire dagli inizi del 2020, tantissime aziende hanno sconvolto i propri assetti organizzativi, adottando modalità di lavoro a distanza, che oggi stanno consolidando, reinventando modi e contesti per restare sul mercato. Con i nuovi paradigmi nel modo di produzione e di garanzia dei servizi che, da un lato determineranno il “crollo” di alcune tipologie di professioni e, dall’altro lato, l’emersione di figure lavorative connesse ai nuovi processi di digitalizzazione.

Una ricerca della società McKinsey, dal titolo “The future of the Work in Europe”, fotografa le tendenze in atto nel mercato del lavoro in Europa tenendo conto anche degli impatti della crisi contingente. Dallo studio emerge che “il 22% delle attuali posizioni di lavoro, cioè circa 53 milioni di occupati, potrebbe essere automatizzato entro il 2030. Inoltre, si ipotizza una riduzione del 4% della popolazione europea in età da lavoro – ovvero 13,5 milioni di lavoratori in meno – soprattutto in Germania, Italia e Polonia, con conseguente carenza di offerta di lavoratori qualificati. McKinsey ritiene che quasi 94 milioni di lavoratori, quindi più della metà della forza lavoro europea – come conseguenza del processo di digitalizzazione in atto – dovranno acquisire nuove competenze. Inoltre, mentre alcune figure lavorative sono destinate, inevitabilmente, a scomparire, altre riusciranno a “riciclarsi” in impieghi similari ed altri 21 milioni di lavoratori saranno costretti a cambiare completamente professione entro il 2030.

E la nuova programmazione europea, con le risorse dei fondi strutturali, sommati ai fondi del PNRR, può delineare il miglior banco di prova per una sperimentazione di un nuovo modello di lavoro organizzato, sostenibile, capace di invertire la tendenza allo spopolamento, e all’abbandono della parte più formata del mercato del lavoro, che rappresenta anche perdita di classe dirigente.

Un primo passo in questa direzione si è riuscito a fare con la proposta – in sede di Legge di bilancio 2022/23/24 – di un articolo che ho predisposto, presentato dal senatore Alan Ferrari. La proposta ipotizzava una sperimentazione dello strumento smart working nelle aree SNAI (quelle individuate dalla Programmazione nazionale della Strategia delle Aree Interne).

Si segnala, altresì, come il mercato si sta muovendo per intercettare le nuove opportunità dello strumento. Le agenzie per il lavoro più avvedute, come ad esempio Randstad, i cui rappresentanti sono già stati in Molise, stanno avviano una verifica nei territori particolarmente marginali per verificare connessioni, disponibilità di risorse umane qualificate e supporto della PPAA verso un ricorso strutturale al sistema. Al riguardo, si sta fornendo il massimo supporto affinché il Molise sia una regione di sperimentazione.

E in una recente visita alla casa circondariale di Campobasso, compiuta grazie alla Garante regionale dei Diritti della persona, ho avanzato la proposta di verificare l’attivazione dello smart working anche per alcuni detenuti, potenzialmente adatti e riqualificabili. A seguito di verifica, l’attivazione potrebbe essere presa in considerazione dal Ministero come innovativa e proficua sperimentazione nazionale.

Alla luce di queste situazioni di contesto, occorre dunque adottare strategie di innovazione collaborative con start-up, università, centri accademici, terzo settore e organizzazioni di settori diversi, in modo tale da avere approcci e prospettive differenziate; apprendere attraverso la pratica e investire nelle persone. Così come è necessario investire risorse pubbliche o attrarre fondi privati nelle aree che necessitano di rivitalizzare la propria economia.

Una vera e propria leva per una crescita durevole, in grado di garantire la redditività economica, il maggiore benessere e lo sviluppo della società stessa. Tuttavia, l’innovazione necessita della conoscenza e della creatività delle persone, della consapevolezza del contesto interno ed esterno all’organizzazione: un approccio olistico, dove tutti hanno il proprio ruolo, ma, al contempo, devono essere in grado di interagire tra loro per garantire il funzionamento resiliente dell’organizzazione.

Perché tra i lasciti di questa pandemia, un punto di non ritorno sarà probabilmente rappresentato dalla grande trasformazione dell’organizzazione del lavoro introdotta con l’irrompere del telelavoro e dello smart working, in grado di spezzare quel binomio tra lavoro e unità di luogo che ha accompagnato la concezione del lavoro per tutto il ‘900. E lo scenario di diffusione dello smart working ha inciso in modo significativo anche sul rapporto tra lavoro e territori, favorendo scelte abitative diverse da quelle storicamente imposte dalla localizzazione della sede dell’impresa.

Tale dinamica apre, dunque, nuove e concrete prospettive per le aree interne, che possono finalmente essere al centro di un fenomeno di ripopolamento favorito dalla diffusione del lavoro agile in tutto il territorio nazionale.

Anche e soprattutto per la nostra associazione, Ali, nel cui ultimo Ufficio di Presidenza ho presentato la proposta di legge, chiedendo di supportarla lungo il solco dell’impegno sui temi delle aree interne e dell’importanza delle nuove dimensioni lavorative, per uno sviluppo armonico, equilibrato e innovatore nelle e per le nostre comunità.

Noi ci crediamo, continuiamo il nostro lavoro di tessitura a più livelli e auspichiamo che la nostra proposta di legge possa diventare un modello legislativo di riferimento non solo regionale, ma soprattutto nazionale.

*di Micaela Fanelli, Vice Presidente Ali e Responsabile Coordinamento ALI Consigli Regionali