STATI GENERALI DELLA BELLEZZA 2023, verso nuovi orizzonti turistici nel panel “Capitali di bellezza. Città, cultura, comunità”

Il primo panel della seconda e ultima giornata dell’edizione 2023 degli Stati Generali della Bellezza, l’assemblea nazionale degli assessori alla cultura e al turismo, nella splendida cornice di Villa Comunale Giuseppe Marano di Andria, in Piazza della Repubblica, dal titolo “Capitali di bellezza. Città, cultura, comunità”, si è rivelato ricco di spunti, grazie all’accorata partecipazione di Salvatore Adduce (direttore ALI Basilicata), Giorgio Gori (sindaco di Bergamo), Giulio Di Giacomo (head of pubblic affairs governance and advocacy TIM), Camilla Murgia (assessore alla Crescita di Pesaro), Danilo Chiodetti (assessore alla Cultura di Spoleto) e Francesco Miccichè (sindaco di Agrigento); ha moderato Paolo Verri (project manager del settore culturale).

Sintetico, ma preciso e tempestivo nel toccare il tema sensibile della responsabilità degli amministratori, Salvatore Adduce ha aperto il dibattito: «La bellezza non è solo un fenomeno naturale, ma soprattutto un prodotto delle azioni dei cittadini e del lavoro degli amministratori. Questo richiede coraggio e un grande programma strategico, investendo e portando avanti scelte che spesso portano magari meno consensi».

Il sindaco Giorgio Gori ha delineato i piani e le prospettive del lavoro svolto dalla sua amministrazione: «A Bergamo si registrano presenze turistiche molto maggiori rispetto al miglior anno registrato, ovvero il 2019. Bergamo e Brescia si sono candidate a capitale della cultura nel 2020, nel pieno della pandemia: era un messaggio ai cittadini, per mostrare loro un orizzonte oltre le difficoltà.
In questo futuro bisogna parlare di cultura della sostenibilità, di valorizzazione del patrimonio, di recupero, rigenerazione, del patrimonio storico delle città, foraggiare la saldatura del sistema di imprese con l’aiuto della tecnologia.
Dobbiamo puntare sulla cura ed è necessario l’aiuto di tutta la nostra comunità. Sono ottimista sulla legacy di capitale italiana della cultura».

Esperto del settore digitale e delle telecomunicazioni, Giulio Di Giacomo ha aperto una parentesi interessante sul valore aggiunto delle nuove tecnologie: «Si dice che il digitale valorizza, ma il compito del digitale è favorire la conoscenza della bellezza: grazie alla grande innovazione della realtà aumentata e la realtà virtuale. Poi attraverso i numerosi servizi che offre; infine attraverso la promozione, mettendo a sistema tutte queste realtà.
Se continuiamo a vedere il digitale come catalizzatore di dati diversi, saremmo in grado di uscire da quella logica di ecosistema classico di turismo. Questo anche grazie all’integrazione del “sistema” con dati relativi alla mobilità, alla diffusione, al commercio: così avremmo maggiore pluralità e una visione più completa».

Camilla Murgia è il fulgido riflesso di Pesaro: «Quasi il 20% del tessuto economico di Pesaro ruota intorno alla cultura e buona parte si deve al Rossini Festival. É stata una sfida costruire la candidatura per il ruolo di città della cultura. Non significa avere un contenitore in cui tutti possono entrare, ma in cui occorre collaborare per costruire con metodo. In ballo ci sono progetti che coinvolgeranno soprattutto le scuole, che si espandono a livello europeo», mentre Chiodetti lo è di Spoleto: «Spoleto è una città che avverte un gran fervore culturale, ecco il motivo per la candidatura a capitale della cultura. L’obiettivo è quello di essere un modello per il centro Italia: ecco come nasce il dossier “La cultura genera energia”. Parliamo di un modello che poteva essere adottato anche da altre città. Abbiamo lavorato internamente a questa progettazione, con l’obiettivo di costruire una rete funzionale alla missione del dossier. Alcuni finanziamenti stanno arrivando, ma non dobbiamo assolutamente sperperare la possibilità di lavorare per un costante miglioramento».

L’ultimo intervento spetta a Francesco Miccichè: «Agrigento si era già candidata due volte a capitale italiana della cultura, ma perse perché mancava un’anima: stavolta abbiamo parlato di cultura non in senso statico, ma in senso dinamico. L’altra chiave è stata presentare Agrigento non come la città più bella, ma come bisognosa di aiuti, portando alla luce le potenzialità da curare. Occorre lavorare sugli orizzonti turistici».