Comunità energetiche: sfida e opportunità per i Comuni

È l’obiettivo che sta perseguendo anche la Rete dei Comuni Sostenibili, con il proprio intenso impegno e con il ruolo attivo che ha assunto di sostegno e vicinanza ai comuni piccoli o grandi che siano.

L’Italia ha, come obiettivo dall’Europa, quello della transizione energetica, il cui primo passo è la realizzazione di 30 GW di energie rinnovabili entro il 2030. Un traguardo sfidante, che rientra necessariamente nelle azioni del PNRR e per il quale è necessario uno sforzo congiunto e soprattutto l’impegno delle Istituzioni. In questo senso, un ruolo determinante l’avranno le realtà locali e, in modo particolare, i Comuni.

Una delle vie, probabilmente la più immediata, per agevolare questa transizione energetica è quella della realizzazione delle cosiddette Comunità di Energia Rinnovabile (CER). Le CER, dal punto di vista più strettamente nominale, sono un insieme di soggetti pubblici e privati, che, unitamente, autoproducono e autoconsumano energia elettrica per contenere la produzione di CO2 e per raggiungere un grado elevato di autosufficienza e risparmio; dal punto di vista più strettamente economico, invece, esse rappresentano la formula attraverso la quale, lo Stato ha previsto di incentivare la transizione alle fonti rinnovabili diffuse.

Non è la prima volta che lo Stato incentiva la costruzione e l’utilizzo di impianti da fonti rinnovabili, è importante, però, evidenziare quale sia stata la scelta operata in questa circostanza. Questa incentivazione, infatti, negli ultimi 20 anni è passata attraverso 3 forme sostanzialmente diverse: una prima, in cui si è incentivato l’impianto e la sua costruzione; una seconda, in cui si è incentivato l’utilizzo individuale dell’impianto e quindi un autoconsumo individuale; una terza, questa, in cui ad essere incentivato è, invece, l’autoproduzione e l’autoconsumo collettivo, proveniente da impianti di energia rinnovabile di nuova costruzione. Questa decisione muove, probabilmente, dal convincimento del Legislatore che l’obiettivo dei 30 GW sia sfidante, importante e non realizzabile in altro modo che non preveda l’impegno diffuso delle comunità.

In questo senso l’intervento dei comuni è determinante e senza di esso, molto probabilmente, il nostro Paese semplicemente non riuscirà a raggiungere l’obiettivo europeo.

Il ruolo che il Comune può assumere in questa importate fase di transizione è triplice, vale a dire quello di

  1. Promotore dell’iniziativa, il cui scopo principale è quello di comunicare le opportunità di partecipazione alla CER per la cittadinanza, quello di informare e affiancare i potenziali soci e/o membri della CER eventualmente interessati, e quello di fondare il soggetto giuridico in cui si costituisce la comunità, garantendo pari opportunità e equità di trattamento;
  2. Prosumatore, vale a dire titolare di un impianto di produzione che condivide l’energia con altri membri;
  3. Consumatore di energia prodotta da impianti nella disponibilità della CER di cui, però, non è titolare.

Le modalità di intervento dei comuni possono, inoltre, essere di due tipologie: diretto sulla costituzione delle CER o indiretto per favorire la loro costituzione sul loro ambito territoriale.

Nel primo caso, cioè quello di intervento diretto, il comune si fa parte attiva, assumendo delibere volte a stabilire il percorso di formazione di una comunità energetica, fino a esserne parte fondante e costituente.

Nel secondo caso, cioè quello di intervento indiretto, il Comune assume il ruolo più limitatamente super partes, vale a dire di individuazione delle potenzialità e di monitoraggio dei risultati, non intervenendo nelle dinamiche di sviluppo delle iniziative che rimangono liberamente in mano ai privati privati, svolgendo tra gli altri il solo ruolo attribuitogli dalla legge in materia di autorizzazione degli impianti.

Una CER che abbia il Comune nel ruolo di soggetto proponente, attuatore e prosumatore è la sfida che va colta e per la quale tutti ci dobbiamo impegnare.

I benefici attesi da questo sistema sono molteplici, perché hanno una ricaduta sul territorio e un occhio allo sviluppo sostenibile futuro; tendono a creare relazioni sociali dinamiche, intergenerazionali e plurali; veicolano il concetto di una “giusta transizione”, che evita la nascita di nuove disuguaglianze, contribuendo piuttosto alla loro riduzione; stimolano una riflessione culturale sugli stili di vita delle persone e su come ognuno, anche le imprese possono migliorare; creano, infine, consapevolezza ed esperienza replicabile per diverse altre iniziative cosiddette di prossimità.

Ma non si limitano a questo. Molto più “prosaicamente”, i benefici sono soprattutto di natura economica e il comune, nel costituire e partecipare una CER, garantisce che questi benefici economici ricadano, come del resto è previsto dalla normativa, soprattutto sulla cittadinanza e sulla collettività e questo non solo direttamente, vale a dire mentre si distribuiscono quote economiche ai cittadini soci, ma anche indirettamente con progetti specifici a cui destinare parte degli incentivi incassati, vale a dire l’acquisto di un’ambulanza, di un defibrillatore, i rifacimento di un asilo o cose del genere.

Questa sfida è determinante per il nostro Paese, soprattutto se si considera l’esigenza, solo recentemente avvertita come pressante, di procedere verso un’autonomia energetica non più rinviabile e questo è pure uno degli obiettivi che sta perseguendo la Rete dei Comuni Sostenibili, con il proprio intenso impegno e con il ruolo attivo che ha assunto di sostegno e vicinanza ai comuni piccoli o grandi che siano.

*di Stefano Monticelli, Presidente Federconsumatori Lazio