Il coraggio di Sánchez: un esempio di pacifismo pragmatico e attenzione al sociale per l’Europa

Nelle nostre recenti conversazioni, spesso ci siamo ritrovati a guardare con profonda angoscia e preoccupazione al martoriato scenario di guerra che insanguina territori così vicini alla nostra Europa. Mentre vi scrivo, Kiev è ancora teatro di devastanti attacchi, e in Medio Oriente siamo purtroppo lontani da un accordo di pace. In questo contesto di crescente incertezza, l’Italia – e con essa i Paesi membri dell’Unione Europea e del Patto Atlantico – ha trascorso le ultime settimane a dibattere su un tema cruciale: l’opportunità di aumentare le spese militari fino alla soglia del 5% del PIL, in nome di quella che viene definita “deterrenza”. “La deterrenza è l’arte di creare nell’animo dell’eventuale nemico il terrore di attaccare”, sentenziava il Dottor Stranamore nel celebre film di Kubrick. Ed è proprio in nome di questo concetto che l’Occidente discute sulla possibilità di rimpolpare i suoi arsenali.

Da pacifista pragmatico, non nego il valore della deterrenza. Tuttavia, ritengo profondamente errato e miope un ulteriore incremento della spesa militare fino al 5% del PIL. Guardiamo con lucidità allo scenario italiano e alle implicazioni concrete per i nostri cittadini: un simile aumento ci costringerebbe a sottrarre risorse preziose a sanità e sociale, settori di spesa pubblica già in grave affanno. È una scelta inaccettabile per chi, come noi, crede in una società giusta e solidale. L’unica prospettiva per un’Europa che voglia davvero contare sullo scacchiere internazionale è avere una sola politica estera e di difesa, e un solo esercito. Non ha alcun senso, quindi, continuare a rinforzare i singoli eserciti nazionali.

Pensiamoci un attimo: già oggi, senza spendere un solo euro in più di quanto già si destina alla difesa, se i singoli eserciti nazionali si mettessero insieme, l’esercito europeo sarebbe più forte di quello russo e quasi alla pari di quello cinese. Questo dato rafforza la mia convinzione: è l’esercito comune europeo la sola risposta intelligente e sostenibile in termini di deterrenza. La prospettiva più razionale e progressista per l’Unione Europea è quella di un esercito comune. Una visione che non andrebbe a intaccare le quote di PIL destinate al sociale, né richiederebbe il ricorso a nuovo debito dei singoli Paesi o a debito comune per scopi militari. A mio parere, infatti, il debito comune europeo dovrebbe essere utilizzato per ben altri obiettivi: ad esempio, per finanziare un ambizioso piano di investimenti pubblici strutturali, sulla falsariga di quanto abbiamo fatto dopo l’emergenza Covid con il PNRR. Dobbiamo investire nel futuro, non solo nella difesa.

Purtroppo, temo che l’Italia stia imboccando una strada opposta, ricorrendo a tagli al sociale e alla sanità per incrementare la spesa militare. E prevedo il momento in cui la maggioranza dovrà affrontare una spaccatura interna: che ne penserà il Ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti? Sarà dalla parte del suo leader, Matteo Salvini, o dalla parte della Presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, così desiderosa di compiacere l’amico Donald Trump in materia militare? Alberto Bagnai, responsabile economico della Lega, ha definito l’obiettivo del 5% “al momento irraggiungibile e insostenibile socialmente”. Eppure, la Premier, a margine del vertice NATO all’Aja, ha fatto intendere di voler rispettare l’impegno. Ma i retroscena parlano chiaro: si pensa già a “trucchetti contabili”, come inserire il Ponte di Messina nel budget delle spese militari. Un contentino all’alleato leghista e un gioco di prestigio per far quadrare i conti senza scontentare gli USA di Trump. Questa non è la strada della trasparenza e della responsabilità.

Eppure, il modello giusto, da seguire, a mio parere, è un altro: è il modello della Spagna di Pedro Sánchez. Mentre le dichiarazioni della nostra Presidente Meloni vanno contro decenni di politiche comuni europee improntate al pacifismo, oltre che ai valori della nostra Costituzione, Pedro Sánchez ha avuto il coraggio di attirarsi le ire di Donald Trump – che già minaccia ritorsioni contro la Spagna con dazi raddoppiati – pur di non tradire il patto sociale con i suoi cittadini.

Per la Spagna, secondo quanto dichiarato da Sánchez, il 5% investito in difesa equivarrebbe a uno sforzo di 350 miliardi di euro, fondi da reperire attraverso “un aumento delle tasse, una riduzione del 40% delle pensioni o un dimezzamento degli investimenti in istruzione”. Sánchez ha scelto con fermezza di dare priorità al sociale, in nome dei valori che porta avanti da progressista e riformista quale è. Pacifismo e attenzione al sociale: un modello cui dovremmo guardare come un faro, come un’ispirazione per noi tutti.

Anche il ministro degli Esteri spagnolo, José Manuel Albares, al suo arrivo al Consiglio dei ministri degli Esteri dell’UE, è stato chiaro e coerente con la linea impostata dal Premier Sánchez: sospensione immediata dell’accordo con Israele, embargo sulla vendita di armi da parte dell’Unione Europea a Israele e sanzioni individuali contro tutti coloro che vogliono impedire la soluzione dei “due popoli, due Stati”. Nelle politiche spagnole, dunque, vedo coerenza: apprezzo la decisione relativa al no all’aumento delle spese militari e riconosco un deciso impegno pacifista e pragmatico. La soluzione dei “due popoli, due Stati”, peraltro, anche a mio avviso è l’unica praticabile e l’Unione Europea dovrebbe sostenerla con la massima forza. Se vogliamo una vera e duratura pace in Medio Oriente, è tempo di far sentire forte la voce dell’Europa nata sui valori della pace e della democrazia.

In uno scenario dominato dai desiderata della nuova destra sovranista e populista, incarnata a livello mondiale dal leader USA Donald Trump – una destra che non fa che ingannare i popoli – l’alternativa è chiara: o l’Europa è unita e reagisce con determinazione, o rischiamo davvero il declino. Solo puntando su apertura, scambio, democrazia e impegno concreto nella risoluzione dei conflitti per via diplomatica, l’Unione Europea potrà riappropriarsi del ruolo che le spetta nello scacchiere internazionale. Un ruolo di progresso, di pace e di riforma. Questo è il mio impegno, questa la nostra sfida.

Matteo Ricci, Direttore di Governare il Territorio, Europarlamentare.