Green Deal a due velocità: l’UE frena sul greenwashing ma avanza sulla tutela dei suoli

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Nel difficile equilibrio tra ambizione ambientale e compromessi politici, l’Unione europea offre in questi giorni due segnali contrastanti. Da un lato, il ritiro formale della proposta di direttiva contro il greenwashing; dall’altro, un accordo positivo tra Consiglio e Parlamento sulla futura direttiva per il monitoraggio e la salute dei suoli.

Il 21 giugno la presidenza belga del Consiglio ha annunciato il ritiro della proposta legislativa contro le pratiche ingannevoli di marketing ambientale, dopo il mancato accordo in sede di trilogo. La direttiva – parte del pacchetto per la “responsabilità green dei consumatori” – mirava a vietare affermazioni ambientali generiche, vaghe o non verificabili (come “eco”, “green”, “a impatto zero”) se non supportate da prove scientifiche o standard riconosciuti. Un passo atteso e necessario per rafforzare la fiducia dei consumatori e contrastare l’abuso del linguaggio ambientale da parte di imprese poco trasparenti.

Eppure, dopo mesi di negoziati, le divergenze tra Parlamento e Consiglio sono risultate insormontabili. In particolare, gli Stati membri hanno espresso forti perplessità sul livello di regolamentazione delle autodichiarazioni ambientali e sulle procedure di verifica preventiva, temendo eccessivi oneri per le imprese, soprattutto le PMI. La Commissione, pur rammaricata, ha ritirato la proposta, rinviando l’intervento a una futura legislatura.

È un segnale problematico. In un’epoca in cui la sostenibilità è al centro del discorso pubblico, l’assenza di regole comuni contro il greenwashing rischia di minare la transizione ecologica stessa, esponendola alla confusione e alla manipolazione.

Diverso, invece, lo scenario che riguarda la tutela dei suoli. Il 10 aprile è arrivato l’accordo politico tra Parlamento europeo e Consiglio sulla proposta di direttiva per il monitoraggio del suolo, presentata dalla Commissione a luglio 2023. Il testo prevede che tutti gli Stati membri istituiscano sistemi nazionali di sorveglianza, mappatura e valutazione della salute dei suoli entro il 2028, secondo criteri scientifici comuni.

Si tratta di una svolta importante. Oggi, oltre il 60% dei suoli europei è degradato, con conseguenze dirette sulla produttività agricola, sulla qualità dell’acqua, sulla biodiversità e sulla resilienza climatica. Eppure, finora, mancava un quadro normativo vincolante a livello UE. La nuova direttiva rappresenta il primo pilastro di una strategia europea per il suolo, che ambisce a renderne sostenibile la gestione entro il 2050.

L’accordo raggiunto è equilibrato: riconosce la necessità di dati comparabili e accessibili, tutela i piccoli proprietari e valorizza il ruolo delle autorità locali, chiamate a partecipare alla raccolta e alla gestione delle informazioni. È un segnale concreto che, pur in un contesto politico difficile, l’Europa può ancora costruire consenso attorno a politiche ambientali strutturali.

Nel confronto tra questi due percorsi – uno interrotto, l’altro appena avviato – si riflette la tensione che attraversa il Green Deal europeo. Da un lato la fatica di regolare il mercato e garantire trasparenza; dall’altro la possibilità di definire standard condivisi su beni comuni fondamentali come il suolo.

Per le autonomie locali, il messaggio è duplice: vigilare affinché l’azione europea non arretri nei suoi obiettivi, e cogliere le opportunità che la nuova legislazione sul suolo aprirà, in termini di monitoraggio territoriale, rigenerazione urbana e sostenibilità ambientale.

Di Emanuele Bobbio, Direttore Ufficio Studi